Ritiro delle famiglie (12-11-2017)

12 Dic , 2017 - Catechesi,Famiglie

LA CURA DI DIO NELLA BIBBIA

(prima parte)

 

Dio con noi vive un legame di vita, vive una vera fedeltà: Dio è Colui che ci guarisce.

Nella Sacra Scrittura si parla di un Dio medico, ed essere medici significa prendersi cura sempre e non solo in certi momenti difficili. Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto occasionale, ma è un legame di vita, è proprio una condizione di fedeltà; quindi essere medici significa abbracciare la condizione di bisogno che si incontra nel proprio fratello e poi non lasciarlo più, è legarsi alla stessa persona e non lasciarla più, perché dice la Bibbia che c’è una condizione nell’essere umano che è originaria, e questa condizione è il bisogno che si ha dell’altro.

Allora, ogni malattia è una mancanza della pienezza; ma solo l’altro, il compagno, l’amico, l’amato può riempire questo grande vuoto che è una necessità che porta l’essere umano. Detto questo, voglio prendere in considerazione tre racconti su quello che fa Gesù, uno dal Vangelo di Marco, che riguarda una bambina che è sul valico tra l’infanzia e la maturità, è una bambina che ha dodici anni (a dodici anni le bambine ebree diventano donne, a tredici anni i maschi). La Torà, che è la Legge, diceva che a dodici anni una bambina diventava maggiorenne, poteva formare una famiglia; questa, allora, è una bambina che sta diventando donna. Succede che passa Gesù (cap.5,21), con la barca, e molta folla Lo segue; sono tante le persone che seguono Gesù, perché Lui le ascolta e poi risponde alle loro richieste, è il medico per eccellenza. Tra la folla c’era uno della Sinagoga di nome Giairo, gli si getta ai piedi, e lo pregò con insistenza dicendogli: “La mia figlioletta sta morendo, vieni ad imporle le mani”. (Mc.5,35). Quindi un capo della Sinagoga voleva dire un Giudeo osservante, uno che conosceva bene il Dio medico, ma quest’uomo essendo capo della Sinagoga, evidentemente era molto umile, perché i Giudei facevano molta fatica ad accettare Gesù come Figlio di Dio, e allora spesso assumevano degli atteggiamenti nei confronti di Gesù, sgradevoli, volevano metterlo alla prova, per vedere se era veramente un Profeta, il Figlio di Dio. Le guarigioni che Gesù faceva erano sempre sospette, da parte dei Giudei. I Giudei avevano questo scetticismo nei confronti di Gesù perché avevano già il loro Dio medico (nell’Antico Testamento, Dio si presenta sempre come medico), e quindi un capo della Sinagoga che si rivolge a Gesù deve essere una persona umile, perché conosce molto bene la Scrittura e sa del Dio medico.

Ma perché è umile? Perché evidentemente nella Legge di Mosè non ha trovato la risposta al problema, e sente che solo in Gesù può trovare la Salvezza, la vita. Stava ancora parlando quando si levò una voce nella folla che disse: “Tua figlia è morta, perché disturbi ancora il Maestro?”.

Immaginiamo una bambina che sta sbocciando alla vita e si sente dire che è morta, sopraffatta dalla malaria; quindi non c’è più possibilità di salvarla, a dodici anni dovrebbe sbocciare alla vita questa bambina, invece c’è la morte che la aggredisce; è una tragedia. Comunque questo padre si rivolge a Gesù. Sicuramente trovava delle resistenze, però sente che solo da Gesù può venire la Salvezza, ed ecco, mentre questo capo della Sinagoga sta ancora parlando, gli vengono a dire: “Tua figlia è morta, perché disturbi il Maestro?”. Sua figlia è morta, quindi non c’è più nessuna possibilità.

Qui la morte ha a che fare con la malattia; cioè la malattia ricorda la morte, perché c’è una memoria che ci dice che la malattia come risultato finale porta alla morte. La morte qui è vista come il fondo di una malattia: la malattia è il nemico della vita, piano piano corrode la vita nino al punto di dare la morte. Allora, come risultato dice: “Non disturbare il Maestro perché la bambina è morta”, e Gesù agisce su questo assoluto riguardante la morte e dice: “Non temere, continua ad aver fede”.

Qui la fede diventa un antidoto alla morte; non il fideismo, che basta credere allora io chiedo questa cosa e avviene, come se fosse un atto magico, ma non è un atto magico, perché prima di tutto è cogliere il senso profondo della vita; che cos’è la vita? E la fede è questo: pensare che la morte non sia la fine della vita, questa è la fede. Cioè, nel cadavere della bambina non c’è la fine di ogni cosa, perché anche nel cadavere resta quella fedeltà; cioè l’amore, l’amore vero anche quando una persona è morta, e quindi l’amore è più forte della morte, dirà il Cantico dei Cantici e quindi chi avesse un rapporto con la malattia e con la morte di tipo magico, sarebbe un aspetto molto superficiale perché invece la malattia e la morte sono esperienze di fede, sono esperienze affinché noi possiamo comprendere l’istanza ultima della vita che va oltre il cadavere, che è la certezza di una vita che continua ad essere vita. Qui la folla sta già procedendo ai riti di lutto, mentre Gesù dice: “La bambina non è morta, ma dorme”. Gesù chiama il padre e la madre di questa bambina e chiama anche i Suoi Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, che sono quelli presenti alla trasfigurazione e sono i più importanti tra gli Apostoli. Qui c’è una Trinità di famiglia: padre e madre di questa bambina, e una trinità di nuove famiglie, perché Pietro Giacomo e Giovanni sono una nuova famiglia, sono la famiglia di Gesù. Gesù lascia la Sua famiglia di sangue; vi ricordate quando dice: “Chi sono i miei fratelli…”; ha lasciato anche la Madre, Maria, e si è legato con i Suoi Apostoli, che sono una famiglia spirituale. Ma allora, anche nella vita di fede, non c’è una famiglia puramente di sangue, ma c’è una famiglia spirituale, chiamiamola così; anche noi Religiosi abbiamo una famiglia, ma è una famiglia i cui legami non sono di sangue, ma sono di spirito, in cui l’altro diventa un fratello, una sorella, e questo aspetto spirituale è fondamentale per affrontare qualsiasi malattia, perché la malattia non è solo una questione di corpo, di sangue, ma è, diciamo, una questione che riguarda corpo e anima allo stesso tempo. L’uomo biblico non conosce la divisione fra il corpo e l’anima, perché è una realtà ancora immatura. Allora, cosa fa Gesù con la parola: “Alzati e cammina?” La bambina si alza e cammina. Allora, cosa c’è dietro questo miracolo di Gesù? Una cosa l’abbiamo già detta, che è il punto fondamentale; c’è che i legami spirituali danno la vita, e non i legami di sangue. Chi l’ha fatta risorgere questa bambina? La Comunità di Gesù l’ha fatta risorgere, quindi questi legami cosa ci dicono? Ci dicono che l’amore ci ottiene i miracoli, ci salva anche nel corpo, si può guarire davvero le nostre malattie, perché dobbiamo sapere che la vita è una questione di cuore, è una questione spirituale. Allora, qualsiasi difetto o menomazione fisica, se ha il dono di un’Alleanza affettiva, spirituale, amorosa con l’altro, ce la fa, perché la nostra vita è legata alla vita dell’altro. La grave malattia di tante persone è l’isolamento, è la solitudine, è l’impossibilità di comunicare; sì, perché questo nostro Dio, questo Figlio di Dio, è il “retroterra della culla di Dio”.

Secondo racconto: il testo del capitolo 16 di Ez.; parla addirittura di un Dio “ostetrico”; Dio è medico, ma è anche ostetrico. In questo testo del capitolo 16 di Ez., si parla di una bambina che è stata partorita e gettata via da sua madre; a questa bambina nessuno le ha tagliato il cordone ombelicale, le operazioni che dovrebbe aver fatto l’ostetrica non sono state fatte, non le è stato tagliato il cordone ombelicale, non è stata purificata dal sangue, cioè non è stata lavata, non le hanno fatto le frizioni di sale, perché il sale tiene sano il corpo in modo che non crescessero dei germi. Allora Dio dice: “Non ti hanno unto con olio”, cioè non hanno ammorbidito la tua pelle ancora molto fresca con l’olio, cioè non ti hanno fatto tutte quelle operazioni che secondo questo testo sono essenziali alla nascita. Nella Bibbia, non si nasce mai solo dalla madre; la madre naturale ha questo compito di custodire la vita dentro e poi di spingerla fuori; la madre può spingere fuori questa creatura, quello che si chiama “dare alla luce”, ma se non c’è qualcuno, l’ostetrica, o qualcun altro che sia lì a raccogliere questa vita, a tagliare il cordone ombelicale, a dire a questa vita: “benvenuta”, a volerla propria, tirarla fuori, la bambina non può nascere. Ci sono sempre due madri, una madre nella carne e una madre spirituale, quella madre spirituale, che è Dio in questo caso.

Ci vuole qualcuno che voglia che tu viva; quando una persona viene al mondo e nessuno la vuole, quella persona sarà sempre triste; ci vuole qualcuno che voglia che tu viva. Il mondo ebraico è sempre molto attento alla Pedagogia e questa si chiama educazione affettiva, e questa la fa la madre con il suo seno. Allora, la madre crea l’identità del ciglio, cioè noi siamo vivi perché c’è una madre che ci ha nutrito; è questo che ci fa comprendere che non ci siamo dati la vita da soli, ma la vita è un dono, perché mi viene data gratuita. La seconda educazione affettiva è la madre che fa le parti a tavola, divide il cibo; e anche questa è un’educazione affettiva, perché si impara a condividere e si impara ad avere un fratello che è il primo compagno della vita e che ti dice che da solo non potresti farcela, mentre la nostra civiltà sta educando i cigli al figlio unico, ben servito e riverito, ma non a condividere; il fratello aiuta il fratello e questo fino a sette anni d’età. Poi si passa all’educazione della fraternità, è quella cosa che aiuta a vivere; oggi non si insegna più la condivisione, e così c’è tanta solitudine. Ecco, gli Ebrei iniziavano a insegnare i valori fin dalla più tenera età, e questi valori regolano la vita sociale. Oggi non ci sono più i valori sociali, anche a livello politico.

Bene, questa bambina viene chiamata da Dio a vivere, un Dio che si prende cura della vita di questa bambina, quindi un Dio “ostetrico”.